“La Vera di Pozzo esposta nel museo provinciale, da qualcuno scambiata per capitello, è ricavata da un cubo di marmo il cui lato è di cm 94,5.
Il foro centrale ha il diametro di cm 47; sotto la cornice ad archetti vi sono sei figure di uomini, e sei di donne, che si tengono per mano in atto di danzare.” (1)
La vera di un pozzo è la balaustra di protezione chiusa attorno al foro di un pozzo. Viene realizzata per impedire, prima di tutto, che qualcuno possa cadere accidentalmente nel pozzo, e poi per comodità di uso del pozzo stesso, potendo costituire un comodo appoggio quando vi si cala un secchio, con o senza l’ausilio di una carrucola.
Col tempo e con l’evolversi del gusto architettonico, la vera è divenuta un elemento decorativo indispensabile che impreziosisce e costituisce in molti casi il fulcro dell’impostazione architettonica di cortili, piazze, chiostri, di castelli e palazzi nobiliari così come di abitazioni popolari, sia in città importanti che in centri sperduti.
Disegno della “nostra” Vera di pozzo nell’atto di svolgere la sua funzione originaria
Foto scattata dall’alto che permette di vedere i fori praticati nel marmo per l’installazione di carrucola e paraschizzi
Fu eseguita, secondo alcuni, sul finire dell’ VIII sec., secondo altri nel XII.
Certo è che i volti a forma di pera capovolta, le acconciature delle donne, i baffi degli uomini, le vesti plissate ed i gonnellini fanno propendere per la datazione all’ VIII sec. Utile è il confronto tra le figure scolpite su questa vera di pozzo e quelle preromaniche provenienti dal monastero di Cairate presso Milano ed ora nella biblioteca Ambrosina.
Ed ora incontriamoli ad uno ad uno, come se fossero per strada, osservandone la postura, i vestiti, le scarpe e le acconciature poichè ciascuno sarà presentato a figura intera e nell’ingrandimento della testa
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Da un articolo su facebook (Brundarte) del 9 novembre 2019
Vestivamo alla…maniera dei franchi
Lo storico R. Jurlaro, dopo una attenta disamina di una “Vera di pozzo” ( Note su uno stampo di Santa Petronilla e su una vera di pozzo: testimonianze della dominazione Franca in Brindisi – Estratto da vetera christianorum 5, 1968) esposta sotto il Portico del Museo Provinciale, giunge ad una straordinaria conclusione che, finalmente, spiega la reale natura di quei “buffi” personaggi ivi scolpiti. Guardiamola insieme accompagnandola con le nostre fotografie.
Innanzitutto c’è da premettere che “per lungo tempo questa scultura è servita da base ad una statua di S. Rocco nella Cattedrale di Brindisi. Perciò forse è stata considerata come capitello.” Però, le proporzioni e l’uso del piede bizantino nella misurazione della bocca centrale e della squadratura del cubo, in uno all’identica ampiezza dei fori di scalpello sul monumento convalidano la loro contemporaneità e quindi dimostrano la non attendibilità dell’ipotesi di trasformazione di un originario capitello in vera di pozzo.
Poi continua lo studioso “La fascia esterna della vera di pozzo, o capitello brindisino, presenta dodici personaggi, quattro donne ed otto uomini, vestiti alla maniera franca. Essi si tengono per mano in atto di danzare. (..) In quel tipo di danza vi è infatti un ricordo ancestrale di certi riti superstiziosi, intesi a tutelare le acque del pozzo da qualsiasi contaminazione maligna (P. Toschi, Tradizioni popolari italiane p. 60). Gli uomini portano una tunica aderente, lunga fino alle ginocchia e stretta alla vita da una cinta a cordone. Le maniche sono strette; una stola, o pallio stilizzato, dal collo cade sul davanti. Le gambe sembrano coperte da calzoni o calze aderenti.
Questi costumi ricordano quello con il quale è vestito l’imperatore Carlo Magno nella rappresentazione a mosaico del triclinio di S. Giovanni in Laterano. I capelli sono tagliati all’altezza delle orecchie ed alla stessa maniera che è nella statuetta di bronzo dello stesso imperatore conservata nel Museo Carnavalet di Parigi. Il viso è rasato, ad eccezione dei baffi. che sono folti e curati.
Le donne indossano una tunica, dalle maniche strette, serrata alla vita e plissata dalla cintura in giù. Nessun gioiello le adorna. Hanno i capelli intrecciati e disposti a cuffia.
Questa maniera di vestire non può dirsi nè langobarda nè bizantina. Liutprando dice, infatti, che i bizantini portavano i capelli lunghi e che anche gli uomini indossavano tuniche dalle maniche larghe, e che usavano coprire il capo con particolari berretti. I langobardi d’altro canto, portavano la barba incolta, o erano completamente rasati (G. Pochettino, I Langobardi nell’Italia meridionale pp. 179-182).
Rapporti con i costumi di questi danzatori scolpiti sul monumento brindisino se ne riscontrano invece nelle iconografie dei personaggi franchi. Carlo il Calvo, in una miniatura del Codex Aureus di S. Emmeram, ha i baffi ma non la barba. Alla stessa maniera appaiono Berengario I sopra uno stampo ed Enrico IV in una miniatura. Il rapporto, già accennato, tra questo monumento scultoreo brindisino e certi elementi stilistici del chiostro di S. Benedetto della stessa città sta nella lunettatura degli archetti che costituiscono il bordo al di sopra delle figure umane nella vera di pozzo e la decorazione essenziale del chiostro.
Gli archetti, infatti, si trovano, come proiezione prospettica, ingigantiti e moltiplicati, sui quattro lati del chiostro di S. Benedetto e di tanti altri monasteri dell’Italia meridionale.
Fu la vera di pozzo brindisina già nel centro del chiostro di S. Maria Veterana poi dai normanni ricostruita per asilo alle monache di S. Benedetto? Bisognerebbe, per affermare tale assunto, analizzare ad uno ad uno i capitelli del chiostro, già da alcuni però attribuiti alla stessa epoca cui si attribuisce la vera di pozzo. (F. Schettini, La scultura pugliese dall’XI al XII sec. cfr. P. Toesca, Storia dell’arte italiana p. 905)…
Per concludere non può attribuirsi questo monumento brindisino ad una corrente dell’arte provinciale romana. In essa non mancano insorgenze della scultura langobarda. Conviene notare che i visi dei dodici personaggi scolpiti su questa vera di pozzo nei costumi franchi hanno la tipica forma di pera rovesciata peculiare dell’arte scultorea langobarda. Tale caratteristica concorda poi con gli altri particolari, quali gli occhi ovali dalle palpebre cerchiate, il naso lungo, triangolare e schiacciato, la fronte bassa, la bocca sottile, netta ed arcuata all’ingiù, il collo a tronco di cono, il corpo
armonico e semplice nei suoi volumi parimenti conici.
La giustificazione storica a questo momento inedito d’immissione franca nella cultura langobarda del meridione d’Italia sta nella soggezione dei principi di Benevento all’imperatore Carlo Magno, verificatasi tra gli anni 787 e 792. Allora, si sa che i principi di Benevento dovettero coniare le monete ed emettere diplomi col nome dei re dei Franchi ed obbligare i sudditi ad adottarne i costumi, e, come dice Erchemperto « ut langobardorum mentum tonderi faceret» (*), radersi la barba, ma non i baffi; tagliarsi i capelli e vestire la tunica sostituita del tutto alla toga, riservata invece per le cerimonie più importanti.
Questa vera di pozzo brindisina, comunque, testimonianza singolare dell’influenza franca nell’estrema parte d’Italia, può essere compresa nella sua compiutezza e perfezione se si vorrà considerarla nel quadro della scultura tardo-antica ed alto-medievale del brindisino per ora documentata dalla lastra votiva trovata in via Casimiro a Brindisi, ove è rappresentato un volatile che becca la cima di un cedro, dai rilievi del portale di S. Barsanofio in Oria e da quelli della chiesa di S. Benedetto di Brindisi, che costituiscono gli anelli di una catena per la spiegazione dei progressi compiuti qui, poi, in età romanica, dagli scultori dei portali di S. Giovanni al Sepolcro di Brindisi e della basilica di S. Nicola di Bari.
(*) La moda delle barbe in Italia venne co’ Longobardi e ci si mantenne per lo secolo XVI ed oltre. Carlo Magno in un trattato con Grimoaldo, secondo Principe di Benevento, si fece promettere « ut langobardorum mentum tonderi faceret », come scrive Erchemberto, nella sua cronica. Pag. 84, Tom. I, Hist. Prince. Langobardor. Camilli Peregrini. Neap. 1749
Bibliografia e sitigrafia:
“Legenda: allo scopo di non tediare il lettore con la ripetizione delle fonti citate, è stato attribuito un numerino per ogni opera consultata, che si ritroverà al termine della citazione e che consentirà l’esatta attribuzione bibliografica/sitigrafica.”
(1) Rosario Jurlaro, Storia e cultura dei monumenti brindisini. Ed. Sal. Galatina (Le) – 1976